Les Pêcheurs de perles, opera lyrique in 3 atti. Libretto di Eugene Cormon e Michel Carrè. Musica di Georges Bizet. La prima rappresentazione fu a Parigi al Theatre Lyrique il 30 ottobre 1863.
I personaggi sono:
Léila Soprano
Léila Soprano
Nadir Tenore
Nourabad Basso
Zurga Baritono
Zurga Baritono
Trama
Zurga, capo tribù, con il suo amico Nadir ricordano il loro amore per una danzatrice sacra, lasciata da entrambi per non compromettere la loro amicizia. Proprio questa ragazza, Leila, arriva sulla spiaggia dove si trovano i due amici, nelle vesti di vergine velata che dovrà placare il mare. Leila riposa dopo il rientro di tutte le barche e narra al sacerdote Nourabad di quando aveva rischiato la morte per salvare un fug giasco. Questi per ricompensa le aveva donato una collana. Nadir raggiunge Leila scalando le rocce a picco sul mare e i due continuano a vedersi lassù ogni sera. Vengono scoperti dal sacerdote che li denuncia a Zurga, il quale, scopre l'identità della fanciulla e accetato dalla gelosia li condanna a morte. Leila cerca di difendere Nadir. Poi ella chiede a Zurga di consegnare la sua collana alla propria madre. Zurga riconosce il monile e ritrova così in Leila colei che, bambina, gli aveva salvato la vita. Zurga decide, per debito di riconoscenza verso Leila, di salvare i due amanti facendoli fuggire. Per distrarre la folla in attesa del supplizio dei due traditori, egli incendia il villaggio. Ma mentre i due fuggono, Nourabad sorprende Zurga. Sarà quest’ultimo a essere immolato sul rogo già pronto per placare l’ira degli dei.
Bizet aveva venticinque anni quando scrisse " I pescatori di perle". La fama del suo nome quale grande compositore è legata alla successiva Carmen ma noi sappiamo ch'egli disprezzava quest'Opera e avrebbe voluto scrivere tutt'altro, essendo un wagneriano che poteva permettersi di esser tale.
La vicenda si può inquadrare pensando a una Canzone di Saint-Saëns che si chiama Désir de l'Orient. Il gusto esotistico permea la vicenda e blandamente la partitura, con cascate di abbellimenti per il soprano che imitano scale orientali. L’Oriente, così spesso vagheggiato in quello scorcio di secolo, soprattutto in Francia (si suole indicare nell’ode sinfonica Le desert di Félicien David, 1844, il capostipite del genere), fa da sfondo, fascinoso e avvolgente, a una banale storia d’amore, in cui il classico triangolo acquista tinte inusitate: poiché se è vero che Nadir ama appassionatamente Léila, è pur vero che nutre un affetto incondizionato per Zurga; e se quest’ultimo soffre per i morsi della gelosia, non ci fa chiaramente capire chi ne sia effettivamente la causa.
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Bozzetti di Brunelleschi |
Les Pêcheurs sono inoltre un esempio lampante di quanto perniciosi possano essere certi rimaneggiamenti e aggiustamenti della partitura originale. Il finale dell’opera, infatti, scomparso Bizet parve ai contemporanei non abbastanza grandioso e non sufficientemente drammatico; si provvide a modificarlo, aggiungendovi un brutto terzetto e condannando di volta in volta il povero Zurga a perire tra le fiamme o a essere pugnalato dai sacerdoti, laddove l’autore aveva preferito un finale più aperto e sospeso, con Zurga lasciato in vita a contemplare, malinconico, la felicità dei due amanti in fuga. Fortunatamente, nelle ultime rappresentazioni e incisioni discografiche si è preferito tornare al finale originale.
Al di là dell’intreccio amoroso, della convenzionalità e della banalità di certi passaggi, Les Pêcheurs de perles restano un palcoscenico ideale per cantanti dalla eccezionale caratura vocale; in particolare il ruolo di Nadir, tutto giocato sul registro acuto, che il sapiente uso dei cosiddetti ‘suoni misti’ (l’incisione di Gigli della celebre “Je crois entendre encore” è esempio probante) può rendere penetrantissimo e giustamente esotico, è occasione di inarrivabili trionfi per un cantante in grado di padroneggiarlo con sicurezza.
Al di là dell’intreccio amoroso, della convenzionalità e della banalità di certi passaggi, Les Pêcheurs de perles restano un palcoscenico ideale per cantanti dalla eccezionale caratura vocale; in particolare il ruolo di Nadir, tutto giocato sul registro acuto, che il sapiente uso dei cosiddetti ‘suoni misti’ (l’incisione di Gigli della celebre “Je crois entendre encore” è esempio probante) può rendere penetrantissimo e giustamente esotico, è occasione di inarrivabili trionfi per un cantante in grado di padroneggiarlo con sicurezza.
Quanto a languore e sensualità, inarrivabile è anche la coda orchestrale del bel coro “Brahma, divin Brahma”, preludio, con la sua atmosfera notturna e misteriosa, all’incantevole aria di Nadir, vago soliloquio alla luce delle stelle.
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Brahma, divin Brahma |
Opera intimamente francese, certo, ma anche opera italiana, se è vero che in Francia, dopo le prime rappresentazioni del 1863, la partitura di Bizet venne quasi dimenticata e fu necessaria la mediazione dell’impresario Sonzogno il quale, durante l’Esposizione universale di Parigi del 1889, presentò, fra le altre, un’opera intitolata I pescatori di perle, con grande sorpresa e, si immagina, imbarazzo dei francesi. È anche il caso di ricordare, oltre alla già citata interpretazione di Gigli, quanto taluni grandissimi tenori italiani (De Lucia, Caruso, Di Stefano, Tagliavini, solo per citare i più celebri) abbiano contribuito alla fama del ruolo di Nadir.
Vi propongo ora l'ascolto dell'interpretazione del tenore Caruso per cogliere delle differenze con Gigli. Due voci molto differenti, a mio parere, per grazia ed anima.
Il celeberrimo assolo di Nadir si propone esplicitamente come un brano esornativo: un’oasi di puro lirismo, contrapposto alla tensione drammatica della scena precedente. Bizet ha creato una pagina di sicuro effetto ( infatti lo riconosciamo come il brano più famoso dell’opera) determinandone l’atmosfera e mantenendone inalterata la magia tramite mezzi molto semplici. Godiamo di questa magia ascoltando la bellissima voce di Lauri Volpi.
La forma complessiva è elementare: un doppio periodo di 16 battute, ripetuto integralmente, preceduto da un’introduzione strumentale e seguito da una coda. Si tratta di una pagina non diversa, apparentemente, da altri prodotti banali, ma è la cura dei particolari a distinguerla come il frutto del lavoro di un grande maestro. Troviamo un’impennata emotiva nella terza frase del secondo periodo “ou souvenir charmant, folle ivresse, douxreve” attraverso l’interruzione della regolarità del ritmo in corrispondenza dell’ascesa della voce al Si3, e l’intensificazione del ritmo armonico piazzando un accordo ogni battuta. La strumentazione è affidata al corno inglese, al flauto e agli archi.
Mi par d'udire ancora
Ascoso in mezzo ai fior
La voce sua canora
Sospirare l' amor!
O notte di carezze,
Gioir che non ha fin,
O sovvenir divin,
Folli ebrezze, bel sogno!
Sogno d'amor!
Delle stelle del cielo
Al tremolante balen,
La vegg'io d'ogni velo
Render libero il sen!
O notte di carezze,
Gioir che non ha fin,
O sovvenir divin,
Folli ebrezze, bel sogno!
Sogno d'amor!
Divin sovvenir,
O sogno divin!
Giuseppe Di Stefano già molto giovane ha interpretato il ruolo di Nadir.
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Je crois entendre encore- J.D. Florez |
La notorietà di quest'aria l'ha portata ad essere riadattata anche in repertori rock e pop. Esempi vicini a noi sono: David Gilmour
Con ampio organico orchestrale possiamo ascoltare l'interpretazione di Max Gazzè.
Un esempio meno "famoso" è quello dell'interpretazione della band Le Poetèmodì della provincia di Brindisi. Ha utilizzato quest'aria nel progetto inedito sperimentale intitolato "NadaBrahma" creando una traccia intitolata Mitleid.
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